Omicidio Desirée Piovanelli, il pm abbandona la pista dei pedofili

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Amalia 52
00sabato 8 maggio 2021 10:49

Brescia, a 19 anni dal delitto dell’adolescente la Procura chiede di archiviare l’inchiesta bis. Ma per la famiglia "il mandante è libero"


Brescia, 8 maggio 2021 - Per il pm Barbara Benzi sull’omicidio di Desirée Piovanelli, la quattordicenne di Leno uccisa dagli ‘amici’ del branco il 28 settembre 2002 nella Cascina Ermengarda, non c’è una seconda verità indagabile oltre a quella cristallizzata dalla giustizia italiana, sfociata nella condanna definitiva di Nicola, Nico e Mattia, i tre minorenni vicini di casa di Desy, e di Giovanni Erra, l’unico adulto del gruppo ancora in carcere – è a Bollate, dove sta scontando 30 anni – ma che si dice innocente e ha in vista il deposito di una richiesta di revisione.

Ma per la famiglia Piovanelli qualcosa da scoprire ancora c’è, eccome. Per questo tramite l’avvocato Alessandro Pozzani e Cesare Gualazzini i familiari della vittima si sono opposti alla richiesta di archiviazione dell’indagine bis. Bisogna continuare a indagare, ripartendo dai tabulati telefonici e dalle telefonate dell’epoca, dicono.

Le due versioni sono state sviscerate ieri in udienza davanti al gip Riccardo Moreschi che ora dovrà decidere se mandare in archivio l’indagine aperta nell’estate 2018 in seguito all’esposto del padre, Maurizio, o se disporre appunto un supplemento investigativo. "Il mandante è ancora libero", ha sempre sostenuto il papà di Desy, convinto che in cella siano finiti solo gli esecutori materiali di quell’orrendo delitto. Lui non molla da 19 anni la speranza di chiudere il cerchio. È convinto che l’omicidio della figlia, massacrata a coltellate dopo essere stata attirata in trappola in quel vecchio casolare cadente, non sia l’epilogo di una tentata violenza sessuale, così come emerge dalle sentenze, ma un rapimento - naufragato - organizzato da un giro di pedofili tuttora attivi nella Bassa . "Desy doveva essere offerta in pagamento di un debito di droga di Erra nell’ambito di festini a luci rosse con ragazzine minorenni", è la sua idea. "Era merce di scambio".

La Procura nell’ambito dell’inchiesta bis sul caso che ha riascoltato i quattro condannati, ma dagli interrogatori non sono emersi elementi utili a integrare nuove prove da cui annodare i fili di una ulteriore indagine. Le parti offese però hanno portato all’attenzione del giudice una serie di spunti a loro dire meritevoli di approfondimento e non analizzati. Per esempio, delle telefonate concomitanti con il delitto, tutte dirette alla medesima utenza di una famiglia straniera all’epoca di casa a Leno. Un numero chiamato e richiamato anche da uno dei minori condannati. "È una fase delicata, questa, non possiamo sbilanciarci" mette le mani avanti Gualazzini. La palla adesso passa al gip. Sarà lui a stabilire se gli elementi siano meritevoli di nuove, ulteriori verifiche, o se le carte dell’ultima inchiesta siano destinata a tornare in un faldone dell’archivio.

Fonte
Giandujotta.50
00sabato 8 maggio 2021 12:05
speriamo se ne venga a capo di questo orribile delitto..
non riporterà in vita la ragazzina ma almeno darà un po di pace alla famiglia.
Amalia 52
00domenica 4 febbraio 2024 15:20
Il killer di Desirée libero nel 2025. Ma è già in comunità

4 Febbraio 2024

Erra è l'unico adulto condannato per l'omicidio della 14enne a Leno. I sospetti del papà di lei: "C'è un quinto uomo"


È l'unico adulto condannato per l'omicidio di Desirée Piovanelli uccisa a 14 anni dopo un tentativo di stupro nella cascina Ermengarda a Leno (Brescia) nell'ottobre del 2002. Giovanni Erra potrebbe tornare libero già nel 2025 ma già non si trova più nel carcere di Bollate: è stato affidato ai servizi sociali e vive in una comunità. In virtù dei benefici di legge per buona condotta, dovrebbe tornare in libertà entro la fine del prossimo anno.

Erra è una delle quattro persone condannate per l'omicidio di Desirée. All'epoca dei fatti aveva 36 anni, e nel processo di primo grado era stato condannato all'ergastolo, pena poi ridotta a 20 anni in appello e poi tornata a 30 anni nel nuovo processo in Cassazione a Milano. Oltre a lui furono condannati tre minorenni - due sedicenni e un quattordicenne - che hanno già finito di scontare le rispettive pene.

Desirée fu uccisa in un cascinale diroccato che si trovava a pochi metri dalla casa in cui abitava. Il suo corpo massacrato a coltellate fu ritrovato la mattina del 4 ottobre 2002 dopo giorni di ricerche e la confessione di uno dei tre minorenni. La ragazza avrebbe provato a ribellarsi a un tentativo di violenza sessuale, colpita da una prima coltellata, poi avrebbe tentato di fuggire ma sarebbe stata di nuovo acciuffata dai suoi aguzzini, condotta di nuovo al piano di sopra del cascinale e quindi uccisa. Secondo i giudici la quattordicenne sarebbe stata attirata in quel luogo isolato dal vicino di casa quindicenne con il pretesto di mostrarle dei gattini appena nati.

Il padre della ragazza Maurizio Piovanelli resta convinto che quella ricostruita dalle indagini e dalle successive sentenze sia solo una parte della verità e sostiene che ci sarebbe un quinto uomo implicato nel delitto, che sarebbe indicata dalla presenza di una traccia biologica estranea a quelle dei quattro condannati, isolata già all'epoca sul giaccone indossato da Desirée e mai approfondito. «Traccia di un soggetto di sesso maschile diverso dagli indagati», secondo l'ex comandante del Ris di Parma Luciano Garofano. Piovanelli chiede di riaprire il caso mentre i tre giovani hanno sempre negato la presenza di un'altra persona.

Fonte
Amalia 52
00domenica 4 febbraio 2024 15:22

Giovanni Erra potrebbe tornare libero già nel 2025 ma già non si trova più nel carcere di Bollate: è stato affidato ai servizi sociali e vive in una comunità. In virtù dei benefici di legge per buona condotta, dovrebbe tornare in libertà entro la fine del prossimo anno.



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www.jw.org/it/news/area-geografica/italia/aperta-sala-del-regno-carcere-...
Amalia 52
00domenica 4 febbraio 2024 15:27
VIDEO | “La fede che salva’, in esclusiva dal carcere di Milano Bollate storie di chi ha scelto di cambiare

Viaggio con i ministri di culto e volontari dei Testimoni di Geova



ROMA – “Certo che si può cambiare”. Giuseppe, detenuto nel carcere di Bollate con una condanna a 16 anni, risponde con dolcezza e senza titubanza. Non è più il ragazzo di un tempo, racconta, e dietro queste sbarre, in una Sala del Regno che inizia a riempirsi intorno alle tre di pomeriggio per la riunione settimanale, ha trovato una nuova strada. È piena di luce, dice Anna, un’altra detenuta, citando un Salmo, mentre mischia le lacrime alle promesse. Le detenute si sono riunite in una stanza, la loro accoglienza è soffice. Silenziose, timide, confidano le loro storie con pudore e hanno dei doni: una penna, una dedica, un libro. Accompagnate dalle volontarie dei Testimoni di Geova, Angela, Monica e Caterina, raccontano di fragilità, di essersi perse, di mariti lasciati a casa. Così, camminando nei lunghi corridoi del carcere di Bollate, scorgendo l’alto muro di cinta, le pattuglie di polizia che vigilano in modo dinamico, perché qui i detenuti in cella tornano solo a dormire, sbuca la foto di Falcone e Borsellino e poi quella targa dorata in cui Dante ricorda che fatti non fummo “per viver come bruti”.

Le chiavi che chiudono porte e cancelli, i poliziotti, l’infermeria, e quel braccio VII color azzurro dove sono reclusi i sex offender disegnano un labirinto regolare e geometrico, dove l’inizio e la fine non si vedono mai, i rumori sbattono sulle pareti e si resta al centro di un dedalo che scatena troppe domande. E in questo viaggio che assomiglia a quella Divina Commedia che inizia dall’inferno fanno da sentinelle Roberto e Francesco, ministri di culto per le carceri, volontari dei Testimoni di Geova anche loro, che ai detenuti dedicano tempo e assistenza come impegno della loro fede. Francesco che ha oltre 80 anni è una vera “autorità” in carcere: saluta tutti, non c’è detenuto che non si fermi a scambiare qualche parola con lui. Roberto si emoziona a parlare della sua esperienza all’interno del carcere: “Da oltre 20 anni svolgiamo questa forma di volontariato nel carcere di Bollate secondo il principio che i detenuti sono “reclusi ma non esclusi” dall’insegnamento dei valori morali esposti nella Bibbia. Alcuni di loro hanno un passato molto violento e cambiare in un ambiente come questo non è facile. Sostenerli e vedere da vicino come riescono a migliorare la loro personalità è molto emozionante. Per me è l’opera umanitaria più importante a cui mi possa dedicare”.

È il direttore del carcere di Milano Bollate, Giorgio Leggieri, a spiegare alla Dire che “Bollate – che ospita quasi 1.400 persone – è il carcere della seconda possibilità per detenuti che hanno scelto di fare un percorso di trattamento avanzato. Una strada possibile solo nella misura in cui le persone abbiano dimostrato idoneità a una maggiore autodeterminazione”. Qui si lavora, ci sono sedi di aziende, “nell’area industriale lavorano quasi 140 persone ogni giorno” e al mattino, spiega Leggieri, “240 detenuti escono per lavorare all’esterno e rientrano la sera”, come previsto dall’articolo 21. Nel reparto dei sex offender, dove ci sono 400 persone di cui “l’80% condannati per reati sessuali” si applica un trattamento intensificato, “da due anni anche per stalker e maltrattanti con uno sguardo sempre attento alla vittima del reato”, spiega il direttore, ricordando che questo percorso “è gestito dalla cooperativa CIPM da una decina d’anni”. E poi c’è la spiritualità e la fede, qualcosa che in questo carcere non è secondario: “Vedo in questo Istituto la grande possibilità di esprimere la libertà di culto. La presenza della Sala del Regno (luogo di culto dei Testimoni di Geova per lo studio della Bibbia, la preghiera e il canto) è un esempio”.

Nel V reparto la porta della Sala è aperta e sono tanti i detenuti che arrivano: “un’occasione di incontro”, come spiega l’ispettrice Rosa Cimadomo che ha l’ufficio proprio di fronte. Alcuni hanno iniziato un percorso di studio della Bibbia, altri vedono in quel momento una condivisione, magari una sosta per pensare, l’inizio di una nuova vita. Samuela Cuccolo, comandante del carcere lo conferma: “Ci sono persone che avvicinandosi a un culto hanno un cambiamento profondo”.

Matilde Napoleone, una delle educatrici del carcere di Bollate, parla di Giuseppe, il ragazzo detenuto che ha un reato molto grave da scontare e dice: “Questo incontro con la religione lo ha trasformato profondamente”, anche quando si relaziona al suo reato: è qualcosa che non dimentica mai”. E quando c’è da aiutare qualcuno, un detenuto in grave difficoltà, Giuseppe non si tira indietro anzi dedica il suo tempo. “L’articolo 15 dell’ordinamento penitenziario elenca gli elementi del trattamento e l’attività religiosa è uno di questi”, ricorda Roberto Bezzi, responsabile dell’area Educativa-Trattamentale che sottolinea proprio questo: “le pene devono essere certe, ma soprattutto efficaci”. L’ obiettivo è che queste persone cambino e “che la pena sia una svolta biografica”.

La svolta l’ha vista in tanti detenuti incontrati lo psicoterapeuta Domenico Mustone: “Alcune di queste persone hanno bisogno di perdono, un bisogno profondo”. Fabio, giovanissimo, che qui a Bollate deve ancora scontare l’ultimo di una pena lunga 12 anni e vuole uscire “da uomo libero”, questo perdono lo ha cercato, prima di tutto dalla sua famiglia di Testimoni di Geova, da cui si era allontanato. “Quando ho avuto la condanna qualcosa dentro di me era rimasto dei valori che mi erano stati insegnati e ad un certo punto ho avuto la necessità di tornare alla verità”. E ad ascoltarlo torna in mente quella commedia divina e quella storia solenne della retta via smarrita. E quando varchi la soglia di Bollate trovi quello che non ti aspetti in un luogo di pena: la speranza.

Fonte
Amalia 52
00sabato 10 febbraio 2024 17:31
Omicidio di Avetrana, Claudio Scazzi ricorda la sorella Sarah: “I Misseri? Non hanno mai chiesto perdono”

A tredici anni dall’omicidio di Sarah Scazzi e in concomitanza con la scarcerazione di Michele Misseri, il fratello Claudio si racconta a Fanpage.it. “Non provo rancore verso chi ha ucciso mia sorella, solo senso di vuoto. Il perdono? Non me l’hanno mai chiesto”.


In concomitanza con l'imminente scarcerazione di Michele Misseri si riaccendono i riflettori sull'omicidio che tredici anni fa sconvolse l'Italia. Quello ad Avetrana della 15enne Sarah Scazzi uccisa, secondo quanto emerso dalle indagini, dalla cugina Sabrina Misseri e dalla zia Cosima Serrano, con la complicità dello zio Michele Misseri, che occultò il cadavere.

Cugina e zia di Sarah sono state condannate all'ergastolo e si trovano in carcere, lo zio Michele (che continua a sostenere di essere il vero responsabile dell'omicidio) ha ormai finito di scontare la sua pena. Tornerà a vivere ad Avetrana, lì dove è stato commesso nel 2010 l'omicidio di Sarah Scazzi.



Claudio, se torni indietro al 26 agosto 2010, che cosa vedi?

Il ricordo che ho di quei giorni è puramente di un grande stress e grande caos, di grandi paure. Mi chiamò mia mamma, dicendomi che non si trovava Sarah, che Sarah era scomparsa. Cominciai a preoccuparmi fin da subito, anche se la mia idea iniziale era che lei fosse andata in qualche centro commerciale e avesse perso il pullman e quindi non fosse riuscita a ritornare ad Avetrana. Immediatamente dopo provai a chiamarla, ma il suo cellulare era spento. I giorni seguenti sono stati poi un susseguirsi di cose che abbiamo provato a fare per capire.

Capire la sorte di Sarah. Avevi dei sospetti?

In realtà non c'è stato mai alcun sentore fino al 6 ottobre, per tutto quel periodo non si sapeva veramente cosa pensare. Non c'erano sospetti: dalla sera alla mattina pensavi qualsiasi cosa. Sabrina, Cosima e Michele frequentavano casa di mia mamma, parlavano con lei e con mio padre. I miei sospetti quindi non si sono mai direzionati verso di loro finché non c'è stato l'arresto di Michele.

Arriviamo al 6 ottobre 2010. Che ricordi hai?

Quel giorno, in cui fu arrestato Michele e fece ritrovare il corpo di Sarah, io ero qui a Varese (dove abito da 15 anni, ndr). Il giorno successivo sono partito di mattina presto per essere ad Avetrana la sera. In quella situazione hai troppe cose tutte assieme. Non è facile, non hai un pensiero univoco, semplicemente esegui, ma non ha il tempo di di essere lucido, di pensare, di razionalizzare ciò che succede.


Per l'omicidio di Sarah sono state condannate tua cugina Sabrina e la zia Cosima. Che rapporto avevi con Sabrina?

Il rapporto con Sabrina è sempre stato un rapporto normale fra parenti, fra cugini. Si andava insieme al mare, si mangiava insieme alle feste e non ci sono mai stati problemi fino a quel momento, quindi nulla da ridire per quello che è stato il passato. Dopo chiaramente è emerso tutto. L'indagine ha fatto emergere tutto, c'è stata la condanna. Ad oggi non provo rancore verso di loro. C'è piuttosto quella sensazione in cui ti viene lasciato un vuoto: passi dall'avere un rapporto molto buono a poi dover prendere atto di quello che è successo e di quello che è stato fatto. Non provo rancore semplicemente perché il rancore, secondo me, è un sentimento che sfocia molte volte in vendetta e non è quello che cerco io, non è quello che mi interessa.

Hai mai pensato al perdono?

Il perdono non spetta neanche a me, anche perché non mi è stato mai chiesto, non mi è stata mai posta la domanda da loro.

Sabrina e Cosima continuano a professarsi innocenti, Michele colpevole.

Ho sempre detto che è una strategia loro, portata avanti da loro. E hanno il diritto di farlo, cioè non puoi obbligare le persone a dire quello che vuoi tu e a fare quello che vuoi tu. È una strategia che hanno sempre avuto, hanno sempre portato avanti e la porteranno avanti sempre.

Vorresti dire loro qualcosa?

Non ho niente da dire, non ho domande particolari. Piuttosto, loro se vogliono potrebbero dire qualcosa a me. Sicuramente sarebbe più utile. Nel senso che sono loro che dovrebbero rivelare più particolari sui fatti, dettagli che non sono emersi fino ad oggi. Le cose da dire sono, diciamo quelle piccolezze che non si sono sapute perché lì non c'era una telecamera, non c'era un testimone oculare del delitto. Quindi tutta la ricostruzione è stata fatta su dati tecnici, dati corretti, dati giusti. Ma sono dati, loro potrebbero far luce su una serie di elementi che conoscono solo loro.

Che opinione ti sei fatto del lavoro di indagine svolto fino a oggi?

Sono sempre stato soddisfatto della Procura, delle indagini e della gente che ci ha lavorato. Li ho sempre elogiati perché hanno fatto un grande lavoro e meritano tutto il mio rispetto e la mia stima.

Nei prossimi giorni Michele Misseri verrà scarcerato. Come la stai vivendo?

Michele Misseri è già stato scarcerato una volta, è stato ad Avetrana tanto tempo dopo quella scarcerazione. Non è mai successo niente, nel senso che poi alla fine uno incontra le persone se le vuole incontrare. Se uno non vuole incontrare determinate persone non ci vuole tanto a evitarle, quindi non è un grosso problema. Io non ci tengo particolarmente a rivederlo, poi se lui mi deve dire qualcosa, sono sempre rimasto disponibile e anche mia mamma.


La mamma come sta?

Mia mamma (Concetta Serrano, sorella di Cosima, ndr) adesso è tranquilla, è a casa, serena per quello che può essere. Chiaramente gli anni sono stati difficili, è sempre un dolore subire una perdita di quel tipo, ma grazie anche alla sua religione, a mio padre, a me, e a tutti quelli che le sono intorno cerca di andare avanti.

E il papà?

Mio padre ha avuto la stessa mia reazione: è sempre andato avanti, ha cercato di fare il meglio che poteva come poteva.

Che ragazza era Sarah e, secondo te, che donna sarebbe oggi?

Sarah era una ragazza solare, una ragazza a cui piaceva andare a scuola e oggi sicuramente sarebbe una donna fatta e formata, con un futuro radioso, per come aveva impostato la sua vita. Sicuramente sarebbe stata una persona a modo, sarebbe stata una bella persona.

Ricordi il vostro ultimo incontro?


Il nostro ultimo incontro è avvenuto prima che io partissi per Milano. Eravamo stati insieme in un centro commerciale, lei aveva visto delle scarpe che le piacevano e allora diedi a mia mamma dei soldi per comprargliele, per farle un regalo. Ricordo anche che all’epoca ero appena tornato dalla Svezia, ci ho abitato per qualche anno e lei era molto curiosa di capire, com'era il Paese. Voleva venire a Stoccolma, lei faceva l'alberghiero, quindi si sarebbe diplomata e poi sarebbe venuta con me a vivere lì per qualche tempo.

Se potessi dirle qualcosa?

Se potessi parlare con lei penso che parleremmo del quotidiano, la vita, il lavoro, la famiglia. Magari avrebbe figli, magari sarebbe già sposata. Io con mia sorella ho sempre avuto un bellissimo rapporto: quando se n'è andata avevo circa 25 anni, lei 15: erano gli anni più belli.

Come si affronta un dolore così grande?

Si sopravvive a un dolore del genere andando avanti, bisogna porsi degli obiettivi, fare cose nuove, non abbattersi e non scoraggiarsi, per fare onore anche alla persona che non c'è.

continua su: www.fanpage.it/attualita/omicidio-di-avetrana-claudio-scazzi-ricorda-la-sorella-sarah-i-misseri-non-hanno-mai-chiesto-...
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